Una storia poco conosciuta a cura dell’Ambasciatore Maurizio Teucci.
Nel marzo 2012 ricevetti sul computer una lettera della Sig.a Suzy Ticho, cittadina americana, con la quale mi sottolineava un atto di altissimo carattere umanitario compiuto da mio padre quando era accreditato come Addetto Aeronautico presso la Regia Ambasciata d’Italia a Berlino. Vale a dire la liberazione nel luglio 1940 del suocero della Sig.a Ticho (nata Suzy Klein), l’ebreo cecoslovacco Nathan Ticho, dal campo di concentramento di Dachau (ALL. 1).
Dachau era il primo campo di concentramento aperto in Germania nel 1933 su iniziativa del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler. Divenne campo di sterminio dopo la Conferenza del Wannsee, in Berlino, del 20 gennaio 1942 nel corso della quale venne messa a punto la “soluzione della questione ebraica”. Il Sig. Ticho era stato inviato a Dachau dopo la reclusione per un anno, sempre per motivi razziali, nel carcere di Spilberk della città di Brno in Cecoslovacchia.
Occorre ricordare che l’Accordo del 29 settembre 1938 raggiunto al termine della Conferenza di Monaco tra Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania (dalla quale i cechi erano stati esclusi) aveva dato a quest’ultima il diritto di occupare entro il successivo 10 ottobre una vasta regione nel nord e nord-est della Cecoslovacchia, lungo il confine della Boemia e Moravia, nella quale si trovavano circa 3 milioni di cittadini di etnia tedesca.
Il 15 marzo 1939 i tedeschi avevano poi invaso la Cecoslovacchia, istituendo il giorno successivo il Protettorato di Boemia e Moravia nel quale avrebbero applicato le loro leggi razziali. La Repubblica di Cecoslovacchia, istituita nell’ottobre 1918 sulle ceneri del crollo della monarchia asburgica alla fine della Prima Guerra mondiale (il Trattato di Saint Germain del 1919 e quello di Trianon del 1920 riconobbero ufficialmente la nuova Repubblica e i suoi confini), finiva di esistere. La Slovacchia aveva infatti proclamato il 14 marzo 1939 la propria indipendenza sotto la presidenza di Monsignor Jozef Tiso (di fatto il nuovo, piccolo stato diventava un satellite del Terzo Reich tedesco) mentre la restante area del paese, i territori che si trovavano a sud della Slovacchia (la c.d. Rutenia o Ucraina subcarpatica) venivano occupati dagli ungheresi.
Quanto segnalato dalla Sig.a Suzy Ticho nella lettera sopraindicata mi giungeva nuovo. Non ricordo infatti che mio padre avesse mai riferito ai figli il suo intervento di carattere umanitario. E neppure nei diari tenuti da mio padre a Berlino vi è traccia della cosa. Si tratta di due piccoli volumi che coprono il periodo ricompreso tra il 4 giugno 1940 e il 12 ottobre 1942. Il terzo diario che prevedibilmente arrivava fino all’agosto 1943 è andato purtroppo perduto durante l’evacuazione della famiglia da Berlino dopo l’Armistizio dell’8 settembre.
Potrei dire che molto probabilmente il carattere generoso di papà lo portava a ritenere che la sua azione, proprio perché determinata da una forte necessità di carattere umanitario, non dovesse essere in modo alcuno sottolineata. Vuoi per evitare di farsene motivo di un eccessivo, malinteso orgoglio, vuoi per evitare che se lo facessero i figli.
Sulla base della documentazione inviatami dalla Sig.a Ticho e delle ricerche che ho effettuato (ma sull’argomento i dati sono pressoché inesistenti) sono in grado di poter ricostruire per grandi linee l’interessante vicenda rimasta finora quasi sconosciuta.
Il 15 marzo 1940 il Maresciallo dell’Aria e Governatore della Libia Italo Balbo nel rispondere ad una lettera inviatagli dal Sig. John Sbarbaro giudice della Corte Suprema della Contea di Cook in Chicago diceva: ”Ho esaminato attentamente quanto mi avete scritto circa il Sig. Ticho ed i suoi due figli e vedrò di fare per loro tutto quello che mi sarà possibile, ma dispero molto di riuscire. Le mie relazioni con S.E. Goering non mi consentono di rivolgermi direttamente a lui per la questione da voi prospettatami. Svolgerò, invece, il mio interessamento attraverso l’Addetto Aeronautico presso la R. Ambasciata d’Italia in Berlino, che è attualmente il Colonnello pilota Teucci, che ha compiuto con me le due Crociere Atlantiche.” (ALL. 2)
Va rilevato che il giudice Sbarbaro era figlio di immigrati italiani ed aveva fatto le funzioni di padrone di casa nel banchetto offerto nel luglio 1933 dalla Società italo-americana di Chicago al Maresciallo Balbo e i suoi aviatori. Ma l’ispiratore della lettera era Julius Klein, fratello della Sig.a Suzy Ticho. Nel 1933 Klein era capitano della 33ma divisione di fanteria della Guardia Nazionale dell’Illinois. E il comandante della divisione, Generale Roy D. Keehn, incaricato di seguire la visita di Balbo a Chicago, lo aveva prescelto come Ufficiale addetto alla persona del Maresciallo.
Fu dunque nei tre giorni di permanenza a Chicago dove erano giunti il 15 luglio 1933 i 24 idrovolanti della Crociera del Decennale che nacque l’amicizia tra il Capitano Giuseppe Teucci, pilota della squadriglia rosso-cerchiata (idrovolante SIAI-Marchetti S.55X I–TEUC), e il Capitano Julius Klein.
Non è opportuno approfondire qui le tappe della leggendaria Crociera Transatlantica Orbetello – Chicago – New York – Roma sulla quale vi è una più che ampia documentazione. Basterà ricordare che la Squadra Atlantica giunse a Chicago – dopo 11.300 km di volo effettuato sovente in condizioni climatiche impervie – in concomitanza con l’inaugurazione della Esposizione Universale del Secolo del Progresso, intesa a celebrare i cento anni della città. E che gli idrovolanti fecero un perfetto ammarraggio sul lago Michigan, in prossimità di Burnham Park dove si svolgeva l’evento. Le accoglienze a Chicago furono travolgenti, un trionfo. Tra le tante cerimonie la 7ma Strada venne rinominata Balbo Avenue.
Per tornare alla lettera del Maresciallo occorre dire che le non buone relazioni con Goering, ”numero due” del regime, Reichsmarschall (Maresciallo del Reich) e Capo della aeronautica militare tedesca (Luftwaffe), che Balbo aveva con tanta franchezza sottolineato non erano da attribuirsi a rivalità di carattere aviatorio ma a qualcosa di molto più profondo. All’avversione di Balbo nei confronti della politica antisemita di Berlino. Balbo era inoltre contrario ad una guerra a fianco della Germania nazista.
Mio padre ricordava sempre in famiglia con devozione Italo Balbo, la sua grande capacità di organizzatore, il suo coraggio, la sua indipendenza di giudizio e la sua irrefrenabile tendenza ad esprimere liberamente il proprio dissenso a sfida del conformismo della dittatura.
Allargando, anche se per poco, l’argomento vale forse la pena di ricordare che anche il Capo del fascismo, nonostante la promulgazione delle leggi razziali nel settembre 1938, all’indomani della visita di Hitler in Italia, non era incline ad accettare l’odiosa politica tedesca di persecuzione antisemita. Vi è un interessante libro di Antonio Spinosa ‘Mussolini razzista riluttante’ che illustra l’ambiguo atteggiamento del Duce al riguardo. Non va poi dimenticato che ebrea era Margherita Grassini Sarfatti, la più intellettuale delle amanti di Mussolini, la donna che trasformerà il maestro elementare, impacciato ma fanatico, nel carismatico Duce. Il libro ‘Margherita Sarfatti. L’amante del Duce’ di Karin Wieland dà un resoconto molto approfondito della vita di questa donna eccezionale.
Il 10 giugno 1940, dopo meno di tre mesi dalla lettera di Balbo, l’Italia entrava in guerra contro la Gran Bretagna e la Francia mettendo cosi fine alla “non belligeranza”, formula coniata da Mussolini perché ritenuta più virile del termine neutralità considerato vile e rinunciatario. E nel pomeriggio del giorno 28 dello stesso mese il trimotore S.79 pilotato da Balbo veniva abbattuto a Tobruk, in Libia, dal fuoco amico, la nostra contraerea.
Sull’aereo di Balbo viaggiava anche il padre del noto scrittore e regista Folco Quilici, Nello, storico e giornalista (era stato il direttore del ‘Corriere Padano’ fondato nel 1925 da Balbo a Ferrara) chiamato dal Maresciallo in Libia per redigere il diario di una guerra che si prospettava difficile. Folco Quilici nel libro ‘Tobruk 1940’ offre un’ampia analisi di quello che, come effettivamente era stato, venne presentato come un deplorevole incidente.
Se l’intervento richiesto dal giudice statunitense Sbarbaro a Balbo avesse di poco ritardato o si fosse trovato ad attraversare la palude di una burocrazia sempre in agguato – e qui la dea Fortuna ci ha messo davvero la mano – il Sig. Nathan Ticho sarebbe andato incontro ad un assai triste destino.
Mio padre si attivò immediatamente con il Reichsmarshall. Si trattava evidentemente di un passo molto difficile e assai delicato perché Hermann Goering era, come detto, il “numero due” del regime nazionalsocialista e non poteva smentirne la politica antisemita. Il Colonnello Teucci dovette di conseguenza avanzare con intelligente determinazione e grande capacità persuasiva le motivazioni che militavano a favore della liberazione dell’ebreo cecoslovacco dal campo di concentramento di Dachau.
Certamente, e non poteva essere diversamente, ci furono forti resistenze da parte del Maresciallo del Reich. Anche perché i campi di concentramento erano di competenza di Himmler. Ma alla fine l’intervento ebbe successo. Un successo che in altro contesto storico avrebbe meritato il più alto riconoscimento.
Dalla brochure “Fannie’s brothers’ edita dalla Sig.a Suzy Ticho nel 2011 in sole 25 copie – di una delle quali mi è stato fatto gentile dono – emerge che i due figli del Sig. Ticho, Charles e Steven, rimasti nel Protettorato di Boemia e Moravia, non erano stati internati e dopo aver vissuto con gli zii erano riusciti, non senza fatica, a raggiungere la madre, la cittadina di passaporto americano Sig.a Fannie Klein, che si trovava in Svizzera, a Zurigo, per perorare un visto d’ingresso negli Stati Uniti per Nathan.
Mio padre si premurò di avvertire subito la Sig.a Fannie Ticho con un telegramma che diceva: ”Lieto comunicarvi che vostro marito vi raggiungerà presto costà. Segue lettera. Colonnello Teucci” (ALL. 3). Altrettanto fece con Julius Klein con telegramma inviatogli in data 6 agosto a Chicago che riportava: ”Lieto annunciarvi che vostro cognato est libero raggiungere vostra sorella. Cordialità. Teucci”.(ALL. 4)
Le peripezie del povero Nathan non erano però finite ma questo mio padre non poteva saperlo. Il Sig. Ticho era infatti libero ma il visto delle autorità tedesche necessario per lasciare il Protettorato tardava ad arrivare. Alla fine però riuscì anche lui a raggiungere la famiglia in Svizzera nell’ottobre 1940.
Vi è un punto nella vicenda della liberazione del Sig. Ticho che rimane avvolto nel mistero. Nella suddetta brochure viene, anche se marginalmente, riferito che il Sig. Ticho era stato internato con il fratello Baruch e che quest’ultimo era morto a Dachau il 19 agosto 1940, due settimane dopo la liberazione di Nathan. Non riesco a spiegarmi perché nella lettera diretta a Balbo dal giudice Sbarbaro sia stato richiesto l’intervento solo per uno e non per entrambi i fratelli. Le persone che potrebbero dare chiari lumi al riguardo, Julius Klein e Suzy Ticho, non sono più tra di noi.
Per dare un più ampio, esaustivo contorno alla vicenda Ticho avanzo alcune considerazioni. Non escluderei che sulla decisione del Reichsmarschall di dare il suo accordo per la liberazione dell’ebreo cecoslovacco abbia giocato un ruolo importante la stima che il pilota Hermann Goering nutriva per un altro pilota, il Colonnello Giuseppe Teucci.
Goering era stato un valoroso pilota da caccia nella Prima Guerra mondiale con 22 vittorie all’attivo in duelli aerei. Entrato a far parte della celebre squadriglia di Manfred von Richthofen – il leggendario Barone Rosso – alla morte di questi nel 1918 ne assunse il comando che tenne fino al termine del conflitto.
Mio padre, da parte sua, aveva preso parte come pilota alla Crociera del Mediterraneo occidentale (25 maggio – 2 giugno 1928, comandata dal Generale B.A. Francesco De Pinedo), alla Crociera del Mediterraneo orientale (5 – 19 giugno 1929, comandata dal Colonnello Aldo Pellegrini), alla Trasvolata Italia – Brasile di Balbo (17 dicembre 1930 – 15 gennaio 1931) e alla Crociera del Decennale sopraindicata (1 luglio – 12 agosto 1933).
Non sarebbe inoltre da escludersi che il passo effettuato da mio padre abbia contribuito a spingere ulteriormente Goering su posizioni più morbide in termini di politica razziale. Ricordo infatti di aver letto in un libro che purtroppo ho perduto e del quale non ricordo il titolo che il Reichsmarschall nel corso di una discussione che coinvolgeva il destino di alcuni ebrei sarebbe sbottato dicendo: ”Basta! Decido io chi è ebreo”. E che facendo valere la sua posizione fosse riuscito ad evitare l’arresto da parte della Gestapo di alcuni attori ebrei amici della sua seconda moglie, l’attrice Emmy Sonneman sposata nel 1935. Non va poi dimenticato che Goering aveva chiamato nel 1933 il pilota ebreo Erhard Milch al posto di Segretario di Stato del Ministero dell’Aria del Reich.
Può senza dubbio interessare conoscere lo sviluppo delle relazioni di mio padre con le due principali controparti nella storia del salvataggio di Ticho, Goering e Klein.
L’allora Maggiore e poi, dal 1936, Tenente Colonnello Teucci nella prima missione come Addetto Aeronautico presso la R. Ambasciata d’Italia a Berlino svoltasi dal 1934 al luglio 1937 aveva certamente incontrato più volte il Maresciallo del Reich. Dopo essere stato a Venezia come Comandante dell’Aviazione dell’alto Adriatico e del 31mo stormo da bombardamento marittimo, mio padre era ritornato a Berlino, con il grado di Colonnello, nel novembre 1939. Era quello il periodo in cui le relazioni tra i due paesi si stavano rafforzando sulla base del c.d. Patto d’acciaio firmato nel maggio 1939. Da allora gli incontri si intensificarono anche perché nel gennaio 1941 mio padre aveva assunto le funzioni di Ufficiale Superiore di collegamento tra lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica ed il Comando Supremo dell’Aeronautica tedesca.
Dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 l’Addetto Aeronautico Teucci, l’Addetto Militare Marras e l’Addetto Navale De Angelis vennero arbitrariamente arrestati, in violazione della immunità diplomatica, dalla Gestapo a Monaco di Baviera sul treno che rientrava in Italia con il personale dell’Ambasciata. I tre militari vennero inviati nel campo di concentramento per prigionieri politici di Sachsenhausen, località nei pressi di Oranienburg, alla periferia di Berlino, dove furono tenuti in isolamento fino al 31 marzo 1944, data in cui vennero trasferiti in Italia e consegnati alle autorità della RSI.
Furono dapprima imprigionati nel carcere degli Scalzi di Verona. La pericolosità della reclusione dei tre Addetti in detto carcere può essere valutata alla luce del fatto che qualche mese prima vi erano stati internati i c.d. “traditori del 25 luglio, Ciano (ex Ministro degli Esteri e genero del Duce), De Bono, Marinelli, Gottardi e Pareschi che dopo un sommario processo erano stati ignominiosamente fucilati alle spalle l’11 gennaio 1944 nel poligono di tiro di Forte San Procolo. Di forte impressione il fotogramma di Ciano che volta la testa verso il plotone di esecuzione qualche istante prima della fatale scarica, quasi a voler guardare in faccia la morte con spavaldo coraggio.
Dopo Verona vennero portati nel carcere di Novi Ligure (Alessandria) da dove effettuarono una avventurosa evasione il 25 agosto 1944.
Subito dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso il 12 settembre 1943 (la famosa Operazione Quercia) mio padre fu chiamato a conferire personalmente con Goering presso il Quartiere Generale tedesco. Alla offerta di immediata libertà e dell’incarico di Sottosegretario alla progettata nuova aviazione repubblicana il Colonnello Teucci oppose un netto rifiuto.
Mio padre ci raccontò in seguito che in quest’ultimo, drammatico incontro avendogli detto Goering che era suo dovere schierarsi con il fascismo e riprendere le armi con l’alleato germanico lui gli aveva con decisione replicato: “Signor Maresciallo del Reich, lei faccia il suo dovere che noi ufficiali italiani, legati dal giuramento di fedeltà al Re, faremo il nostro”. Al che Goering disse: “Capisco. Siete un militare. È una decisione giusta. Ma stando cosi le cose debbo purtroppo riconsegnarvi alla Gestapo”. Un ufficiale tedesco, presente al colloquio, nell’accompagnare mio padre all’uscita gli chiese se poteva stringerli la mano.
Grandi e certamente di esempio il senso del dovere, il coraggio e la fermezza di carattere dei nostri vecchi.
I rapporti tra Julius Klein e mio padre si interruppero dopo l’entrata in guerra dell’Asse contro gli Stati Uniti l’11 dicembre 1941. Ma ripresero dopo la fine del conflitto con uno scambio di corrispondenza.
Ebbero anche la possibilità di rincontrarsi. Mio padre dette per Klein un ricevimento a Roma alla Casa dell’Aviatore nel luglio 1960. Ne era diventato Presidente dopo aver lasciato il Comando della III Zona Aerea Territoriale e il servizio con il grado di Generale di Squadra Aerea. Mio padre ricordava spesso che nel Comando della III ZAT era stato preceduto, nel lontano 1928, da Francesco De Pinedo, il grande pilota di idrovolanti, trasvolatore di continenti e oceani. Aveva effettuato la Crociera Italia – Australia – Giappone nel 1925 con il famoso “Gennariello” e la Crociera delle Due Americhe con l’altrettanto celebre “Santa Maria” (per un approfondimento vedasi il libro di Ovidio Ferrante “Francesco De Pinedo. In volo su tre oceani”.
Nell’aprile 1962, poi, mio padre ed altri undici piloti della Crociera del Decennale effettuarono il volo inaugurale dell’Alitalia Roma – Chicago. Nella città americana ebbero calorose accoglienze e fu loro concessa la cittadinanza onoraria di Chicago. Nel ricevimento offerto da Klein per la delegazione italiana mio padre ebbe la più che gradita sorpresa di incontrare Nathan Ticho, la persona che era riuscito a salvare ventidue anni prima.
L’anno dopo mio padre decedeva. Si chiudeva cosi un interessante capitolo di storia ed un significativo, confortante episodio di relazioni umane.
Desidero da ultimo ringraziare la Società Italiana Aviazione Civile per avermi offerto la possibilità di rievocare alcuni ricordi di famiglia e, sopratutto, di dare un contributo, seppure piccolo e modesto, alla conoscenza di alcuni aspetti della vita di mio padre, Uomo giusto e sereno.
Dal Giappone, Aprile 2020
L’autore
Ambasciatore Maurizio Teucci
Biografia
“Il nome dell’atlantico Teucci è sicuramente tra quelli noti alle stanze di questo Palazzo dell’Aeronautica, eppur, leggere quest’articolo, rappresenta un momento di grande interesse, non solo per me, ma per l’intera comunità aeronautica.
Spesso un grande evento, un record, una crociera aerea o un’importante azione bellica rendono in qualche modo “immortali” gli autori ma, altrettanto spesso, finiscono per legarlo unicamente a quel grande episodio; finiscono per nascondere spesso il lato umano del singolo pilota che, come in questo caso, riesce ad emergere solo per una piacevole coincidenza, per una lettera, uno scritto qualsiasi che rende conto dei tasselli di un individuo che la cloche non è riuscita a fornire.
Non nascondo, ancora, che, oltre allo specifico avvenimento, la bellezza umana del gesto del Teucci in un difficilissimo momento storico come poteva essere la Seconda Guerra Mondiale e in un delicatissimo argomento, quale la liberazione di un uomo di religione ebraica da un campo di concentramento nazista, di grande interesse storico, risultano anche dai documenti che il dott. Teucci ha allegato al suo scritto.”
Col. A.A.r.a.n. Luigi Borzise
Capo Ufficio Storico, Stato Maggiore Aeronautica
“Queste sono pagine gloriose e toccanti nella storia della famiglia Teucci e momenti di vera grandezza per il nostro Paese. Li dobbiamo ad Ufficiali come il Colonnello pilota Giuseppe Teucci che hanno dimostrato profonda umanità, preveggenza e senso di responsabilità nel salvare vite umane innocenti nella immensa tragedia della Shoah.”
Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata
Ministro degli Affari Esteri, Repubblica Italiana
“Ringraziamo la Società Italiana Aviazione Civile per averci informato di accadimenti di tale importanza. Sarà per noi un dovere e una volontà organizzare un evento per valorizzare le ricerche effettuate e stimolare nuovi studi sulle vicende descritte in quest’importante ricostruzione storica.”
Dott. Claudio Procaccia
Direttore Beni Culturali, Comunità Ebraica Roma